sabato 22 marzo 2014

CINEMA! e la macchina scenica dietro lo spettacolo




“L’idea era di fare un film muto a teatro” spiega Beppe Navello, “ma come tradurre l’idea in una storia?”. Trasferire su palcoscenico ciò che nel primo trentennio del Novecento accadeva su pellicola è più facile a dirsi che a farsi, è come compiere all’inverso il processo che ha portato il teatro nel cinema. Dietro lo spettacolo Cinema!, andato in scena in questi giorni all’Astra nella nuova “versione polacca”, c’è la creatività, il lavoro, e la comunione di più personalità, che hanno portato alla nascita di uno spettacolo originale rispetto alla prima versione, e che ripropone il problema di come camuffare il linguaggio teatrale in linguaggio cinematografico.  Negli incontri Le pratiche della scena condotti da Laura Bevione e aperti al pubblico, è stato possibile approfondire e risalire alla genesi di Cinema! proprio attraverso il racconto di coloro che vi hanno lavorato. Navello parla dell’improvvisazione come punto di partenza, un modo di sperimentare e intanto costruire poco per volta con gli attori, ma anche con il resto dello staff sempre in stretta collaborazione e un po’ andando a tentativi  prima di raggiungere il risultato sperato.
Simulare un film muto significa adottarne il linguaggio e lo stile. A livello recitativo il passaggio non è “traumatico” perché la pantomima e la comicità slapstick sono figlie del teatro, la vera difficoltà sta nel fatto che il cinema parla per inquadrature e piani, e ha il vantaggio della rapidità e dell’azione. In teatro abbiamo un’unica grande inquadratura che è data dall’apertura del boccascena, l’attenzione dello spettatore può essere condizionata, ma nulla può vietare all’occhio di spaziare; per ricreare l’effetto inquadratura è stato necessario eliminare questa libertà. Su richiesta di Beppe Navello, lo scenografo Francesco Fassone ha progettato una struttura di quinte mobili  indipendenti che permettono di isolare dei dettagli della scena e di aprire o ridurre l’apertura “dell’obiettivo” così da simulare il piano americano, il campo totale, il controcampo e via dicendo. Quando le quinte sono completamente chiuse fanno da sfondo nero per proiettare le immancabili didascalie incorniciate.
Nel corso degli incontri è stato più volte menzionato l’importantissimo ruolo rivestito dai tecnici, grazie a loro i frequenti e rapidissimi cambi scena appaiono fluidi e silenziosi, e permettono alla storia di spostarsi con disinvoltura da un’ambientazione all’altra ricreando l’effetto “montaggio veloce di sequenze brevissime”.  Nel cinema è naturale avere un certo numero di location, in teatro tutto ciò si traduce in “avere il doppio dei problemi”. La scenografia di Fassone è concepita affinché questi cambi siano scorrevoli e repentini (ce ne ha mostrato personalmente il funzionamento)… parti di scenografia che si muovono su un sistema di binari aprendosi e richiudendosi come un sipario; quinte scenografate su ambo le facce per servire alternativamente come ambientazioni diverse; spezzati, tulle e tutto ciò che in teatro permette la magia della finzione, tenendo presente il passaggio, anch’esso frenetico, degli attori che devono avere la possibilità di muoversi liberamente senza essere imbrogliati dal lavoro dei tecnici o rischiare di inciampare in un elemento scenografico mentre questo scivola in scena. Fassone confessa che trovare un giusto incastro per tutti gli “ingranaggi” di questa macchina scenica è stato per lui una sfida professionale.
Non meno significativo e complesso è stato il compito del direttore della fotografia Marco Burgher. Chi ha visto lo spettacolo sarà forse rimasto sorpreso del fatto che il tanto nostalgico bianco/nero del film muto in scena non c’è. Si tratta di una precisa scelta stilistica fatta da Navello; inizialmente si era pensato di rendere l’effetto b/n totalizzante, da luci a scenografie a trucco degli attori, ma sarebbe risultato artificioso e monotono; alla fine hanno optato per una ricca tavolozza di grigi, beige, seppia, marroni, verdi, che richiama a qualcosa di vecchio e usurato, come una pellicola rovinata, con quel gusto un po’ retrò. La luce, sapientemente usata, è in grado di dare un certo taglio a un volto, di far risaltare un abito di lustrini, di creare un contrasto o di armonizzare, di mettere a fuoco un dettaglio o di privilegiare il quadro d’insieme. L’illuminazione di Burgher, in questo senso, è molto pittorica, come la definisce lui stesso, ma non è stato semplice raggiungere la perfezione, nel muto la pantomima fa il grosso del lavoro e sul palco, dove le distanze “si sentono”, l’espressività degli attori, soprattutto del volto, rischia di perdersi a causa di una sbagliata illuminazione. Gli attori non possono stare troppo distanti dal pubblico, allo stesso tempo però devono posizionarsi in modo che i fari li possano illuminare adeguatamente senza creare ombre fastidiose. L’illuminazione  esalta gli spazi, creando profondità dove non ce n’è. L’armonia tra luci e scenografie è importantissima perché i due elementi devono lavorare insieme costantemente, un frequente cambio scena significa di conseguenza un frequente cambio luci.   

Brigida Sacerdoti, la costumista, ha adottato un analogo approccio artistico nella realizzazione degli abiti: “La mia ricerca in ogni scena è l’armonia  e la bellezza”. Ogni abito deve descrivere il personaggio che lo indossa, un vestito può dire molto sulla storia di un individuo in mancanza di parole, non di meno, il costume deve vestire bene l’attore, e il cast polacco si è rivelato oltremodo entusiasta di indossare abiti italiani, perché i costumi sono fatti tutti a mano e con materiali naturali come si usava all’epoca. La scelta cromatica è di nuovo un finto bianco e nero, screziato da bronzo, argento, oro e platino. La stilista non si è limitata a fare una ricerca storica del periodo ma ha reinterpretato la moda degli anni Venti in chiave moderna, evitando di riproporre soluzioni eccessivamente abusate come le frangette negli abiti femminili.  

Nel corso dell’ incontro di Le pratiche della scena, Brigida Sacerdoti ha detto una frase che racchiude lo spirito con cui è stato realizzato Cinema!: “Il teatro è un insieme di persone che lavorano ognuna con la propria testa ma in collaborazione costante tra loro”. Qualcuno nel pubblico ha affermato che sarebbe un arricchimento per lo spettatore se per ogni spettacolo fosse possibile un confronto diretto con coloro che lo hanno realizzato.

FC

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