“L’idea
era di fare un film muto a teatro” spiega Beppe Navello, “ma come tradurre l’idea
in una storia?”. Trasferire su palcoscenico ciò che nel primo trentennio del
Novecento accadeva su pellicola è più facile a dirsi che a farsi, è come
compiere all’inverso il processo che ha portato il teatro nel cinema. Dietro lo
spettacolo Cinema!, andato in scena
in questi giorni all’Astra nella nuova “versione polacca”, c’è la creatività, il
lavoro, e la comunione di più personalità, che hanno portato alla nascita di
uno spettacolo originale rispetto alla prima versione, e che ripropone il problema
di come camuffare il linguaggio teatrale in linguaggio cinematografico. Negli incontri Le pratiche della scena condotti da Laura Bevione e aperti al
pubblico, è stato possibile approfondire e risalire alla genesi di Cinema! proprio attraverso il racconto di
coloro che vi hanno lavorato. Navello parla dell’improvvisazione come punto di
partenza, un modo di sperimentare e intanto costruire poco per volta con gli
attori, ma anche con il resto dello staff sempre in stretta collaborazione e un
po’ andando a tentativi prima di raggiungere
il risultato sperato.
Simulare
un film muto significa adottarne il linguaggio e lo stile. A livello recitativo
il passaggio non è “traumatico” perché la pantomima e la comicità slapstick sono figlie del teatro, la
vera difficoltà sta nel fatto che il cinema parla per inquadrature e piani, e ha
il vantaggio della rapidità e dell’azione. In teatro abbiamo un’unica grande
inquadratura che è data dall’apertura del boccascena, l’attenzione dello
spettatore può essere condizionata, ma nulla può vietare all’occhio di spaziare;
per ricreare l’effetto inquadratura è
stato necessario eliminare questa libertà. Su richiesta di Beppe Navello, lo scenografo
Francesco Fassone ha progettato una struttura di quinte mobili indipendenti che permettono di isolare dei
dettagli della scena e di aprire o ridurre l’apertura “dell’obiettivo” così da
simulare il piano americano, il campo totale, il controcampo e via dicendo. Quando le quinte sono completamente chiuse
fanno da sfondo nero per proiettare le immancabili didascalie incorniciate.
Nel
corso degli incontri è stato più volte menzionato l’importantissimo ruolo
rivestito dai tecnici, grazie a loro i frequenti e rapidissimi cambi scena appaiono
fluidi e silenziosi, e permettono alla storia di spostarsi con disinvoltura da
un’ambientazione all’altra ricreando l’effetto “montaggio veloce di sequenze
brevissime”. Nel cinema è naturale avere
un certo numero di location, in
teatro tutto ciò si traduce in “avere il doppio dei problemi”. La scenografia
di Fassone è concepita affinché questi cambi siano scorrevoli e repentini (ce
ne ha mostrato personalmente il funzionamento)… parti di scenografia che si
muovono su un sistema di binari aprendosi e richiudendosi come un sipario;
quinte scenografate su ambo le facce per servire alternativamente come
ambientazioni diverse; spezzati, tulle e
tutto ciò che in teatro permette la magia della finzione, tenendo presente il
passaggio, anch’esso frenetico, degli attori che devono avere la possibilità di
muoversi liberamente senza essere imbrogliati dal lavoro dei tecnici o rischiare
di inciampare in un elemento scenografico mentre questo scivola in scena.
Fassone confessa che trovare un giusto incastro per tutti gli “ingranaggi” di
questa macchina scenica è stato per lui una sfida professionale.
Non meno
significativo e complesso è stato il compito del direttore della fotografia
Marco Burgher. Chi ha visto lo spettacolo sarà forse rimasto sorpreso del fatto
che il tanto nostalgico bianco/nero del film muto in scena non c’è. Si tratta
di una precisa scelta stilistica fatta da Navello; inizialmente si era pensato
di rendere l’effetto b/n totalizzante, da luci a scenografie a trucco degli
attori, ma sarebbe risultato artificioso e monotono; alla fine hanno optato per
una ricca tavolozza di grigi, beige, seppia, marroni, verdi, che richiama a qualcosa
di vecchio e usurato, come una pellicola rovinata, con quel gusto un po’ retrò.
La luce, sapientemente usata, è in grado di dare un certo taglio a un volto, di
far risaltare un abito di lustrini, di creare un contrasto o di armonizzare, di
mettere a fuoco un dettaglio o di privilegiare il quadro d’insieme. L’illuminazione
di Burgher, in questo senso, è molto pittorica, come la definisce lui stesso, ma
non è stato semplice raggiungere la perfezione, nel muto la pantomima fa il
grosso del lavoro e sul palco, dove le distanze “si sentono”, l’espressività degli
attori, soprattutto del volto, rischia di perdersi a causa di una sbagliata
illuminazione. Gli attori non possono stare troppo distanti dal pubblico, allo
stesso tempo però devono posizionarsi in modo che i fari li possano illuminare
adeguatamente senza creare ombre fastidiose. L’illuminazione esalta gli spazi, creando profondità dove non
ce n’è. L’armonia tra luci e scenografie è importantissima perché i due
elementi devono lavorare insieme costantemente, un frequente cambio scena
significa di conseguenza un frequente cambio luci. Brigida Sacerdoti, la costumista, ha adottato un analogo approccio artistico nella realizzazione degli abiti: “La mia ricerca in ogni scena è l’armonia e la bellezza”. Ogni abito deve descrivere il personaggio che lo indossa, un vestito può dire molto sulla storia di un individuo in mancanza di parole, non di meno, il costume deve vestire bene l’attore, e il cast polacco si è rivelato oltremodo entusiasta di indossare abiti italiani, perché i costumi sono fatti tutti a mano e con materiali naturali come si usava all’epoca. La scelta cromatica è di nuovo un finto bianco e nero, screziato da bronzo, argento, oro e platino. La stilista non si è limitata a fare una ricerca storica del periodo ma ha reinterpretato la moda degli anni Venti in chiave moderna, evitando di riproporre soluzioni eccessivamente abusate come le frangette negli abiti femminili.
Nel corso dell’ incontro di Le pratiche della scena, Brigida Sacerdoti ha detto una frase che racchiude lo spirito con cui è stato realizzato Cinema!: “Il teatro è un insieme di persone che lavorano ognuna con la propria testa ma in collaborazione costante tra loro”. Qualcuno nel pubblico ha affermato che sarebbe un arricchimento per lo spettatore se per ogni spettacolo fosse possibile un confronto diretto con coloro che lo hanno realizzato.
FC
Nessun commento:
Posta un commento