FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI 2013



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Il Festival delle Colline Torinesi si avvicina...
Ormai manca poco, la diciottesima edizione del Festival delle Colline Torinesi è alle porte: partirà il primo giugno e ci terrà incollati alle poltrone dei teatri fino al 21 dello stesso mese.
Quest’ anno il festival compie la maggiore età e le novità saranno numerose: la kermesse si svolgerà tra Torino, Moncalieri, Pecetto Torinese e Vercelli, con 19 spettacoli, replicati nei vari giorni, 8 prime nazionali, 2 anteprime assolute e una prima europea. Oltre alle compagnie italiane, anche artisti tedeschi, francesi, romeni e libanesi. Il tutto sarà contornato dalle varie iniziative “Intorno al Festival”e non mancheranno i vari blog, siti, app per I-phone e i contatti su facebook, twitter, youtube e flickr. Con i suoi 18 anni, il festival è diventato maturo e“ si è andato formando un cartellone molto intenso e duro, cupo per certi aspetti, che non fa sconti all’ atmosfera che si respira nel mondo”. Da menzionare la promozione per chi compie 18 anni nel 2013, che pagherà 1 euro a spettacolo (escluso “Rooms for error”).
Affrettatevi perché il tempo scorre! Noi siamo pronti e voi?

                                                                                                                                           

C.V.


GRATTE-CIEL
 produzione Diphtong Cie di Sonia Chiambretto regia di Humbert Colas con Baptiste Amann, Lahcen Elmazouzi, Sofia Manousha, Isabelle Mouchard, Manuel Vallade, Slimane Yefsah
visto presso il Teatro Astra il 20/06/2013 – Festival delle Colline Torinesi

Il cielo nuvoloso, il mare calmo, la musica toccante e coinvolgente.
A poco a poco ci si avvicina alla costa carichi di emozioni, speranze, ricordi.
Gli attori passeggiano fra le acque, parlano fra di loro, titubano su quando cominciare; il pubblico entra separatamente, è in ritardo (arriva dalle Fonderie Limone).
“E' un piacere!” così rompono il ghiaccio i cinque ragazzi (tre ragazzi, due ragazze) senza costumi, jeans e maglietta. Ad ogni saluto si guardano fra di loro.
Ci fanno contemplare.
Algeri è sempre più vicina.
La città, dal 26/12/91 all' 8/2/2002 ha vissuto il “decennio nero”. La gente si sentiva un ratto, guardava al mondo domandandosi cosa fare. Immondizia, funerali, bombe caratterizzano le strade.
Le donne, sempre convinte da un uomo, mettono in scena la propria scomparsa.
Figlio di una grande personalità dell'Algeria Nazione è Hakim. Hakim corre.
Hakim corre fino a ritrovarsi piegato ed essere preso a calci in testa.
La resistenza è minaccia permanente, in essa tutto è messo in gioco per prendere una decisione.
Lo spettacolo si divide in due parti. Prima i cinque ragazzi raccontano delle persone, della città , dei quartieri, delle vie, dei pianti versati, del GRATTE-CIEL; secondo i propri occhi e secondo testimonianze, di volti stampati o proiettati su pannelli bianchi.
Si parla di bambini, ragazzi, l'idea di Dio che è presente in tutti.
Poi OBUS, il progetto di rinnovamento urbano.
La campagna. Un campo di battaglia.
Paul si ribella, il suo compito è riappacificare non istigare all'omicidio. Il capitano non glielo permette ed al paracadutista che prende a calci Hakim non gli interessa.
Intanto i cinque ragazzi sono diventati sei, hanno indossato tute mimetiche o vestiti da infermiera.
L'inno Algerino, nel ricordo di chi ha servito la patria, soffoca la Marsigliese.
Buio. Applausi.
AN


MONEY – IT CAME FROM OUTER SPACE
di Chris Kondek e Christiane Kuhl con Chris Kondek, Christiane Kuhl, Marc Stephan, Hannes Strobl, Juta Vaniaga
visto presso Cavallerizza Reale il 18/06/2013

Un occhio ed una zanzara appesi, una mano come fondale, una mostruosa sagoma, una casa che invece delle vetrate ha schermi, un angolo ufficio, un angolo cinema 3D ed una serra. Questa è la scenografia di MONEY – IT CAME FROM OUTER SPACE spettacolo sottile e divertente che tratta della catastrofe del capitalismo.
Formiche che marciano su 2€ ed una pianta carnivora che se ne mangia 20 di euro, sono le prime immagini che gli schermi proiettano.
Spettacolo tedesco, la compagnia di Chris Kondek e Christiane Kuhl è per la prima volta in Italia, pare essere un programma televisivo in cui presentatore (in inglese) e presentatrice (in tedesco) spiegano con le parole sottotitolate e con l'ausilio di videoclip che sono estratti di film o interviste. Insieme ai due conduttori, in scena ci sono due alienati: capelli biondi e vestiti di grigio, marito e moglie.
Una spycamera ci mostra l'interno della serra, ci minaccia con una moneta da 2€ e ci vedere come il denaro possa divenire l'anima che si divide dal corpo di un essere umano.
Il programma televisivo ci parla degli alieni come di qualcosa di incomprensibile, che si muove, cresce e crea panico. L'alieno probabilmente ha a che fare con il caos attuale, in cui il denaro dopo essere stampato risparisce nel nulla.
Alieno diventa il denaro che potrebbe dunque far parte di qualunque dei film appena proiettati. Siamo alienati, posseduti dall'alieno, o per dirla alla Marx, dal vampiro, ossia dal denaro. Ma perché Marx ne “Il Capitale” avrebbe dovuto parlare di vampiri?
AN


MEZZ'ORA CON... Sergio Ariotti
18/06/2013_ Cavallerizza Reale, Torino.
Incontro con Sergio Ariotti, direttore artistico del Festival delle Colline, a cura di Laura Bevione.
Ultimo appuntamento di Mezz’ora con_ Incontri con gli artisti tutto dedicato alla storia del Festival delle Colline. Il direttore Sergio Ariotti racconta al pubblico, in un'intervista molto informale e amichevole, come è nato il festival e perché si è evoluto così come lo conosciamo oggi: dove sono finite le colline torinesi e il perché di una vetrina teatrale di Creazione Contemporanea.
Ci scusiamo per la scarsa qualità audio, il cortile della Cavallerizza era molto trafficato quel pomeriggio...

Intervista prima parte


Intervista seconda parte



DISCORSO GRIGIO (la politica)
Una produzione Fanny e Alexander.
Con Marco Cavalcoli.
Ideazione Luigi de Angelis e Chiara Lagani.
Regia di Luigi de Angelis.


La prima cosa che colpisce è l’ incongruenza tra gesti e parole: movimenti agitati, quasi da Tic, accompagnati da frasi rassicuranti, come quelle che sentiamo tutti i giorni. Marco Cavalcoli è un presidente, il capo di uno Stato il quale si prepara per un discorso alla Nazione. Questa volta non vediamo solo la facciata dell’ uomo politico, ma anche il suo mondo interiore fatto di paure incontrollabili. Si potrebbe dire che è la Politica stessa a parlare, attraverso una persona in carne e ossa. Vediamo tutto quello che, solitamente, non è visibile attraverso un discorso pubblico. E quando le parole degenerano, l’uomo politico diventa una caricatura di se stesso, con grosse mani e una testa enorme. E dopo tante(tantissime!) parole, il silenzio. Un silenzio che spiazza, letteralmente. Lo spettacolo, più che teatrale, sembra quasi un montaggio audio-video, cattura immediatamente lo spettatore e lo catapulta in questo mondo così grigio della Politica. Il fatto che duri solo un ora è ottima: se fosse durato troppo, sarebbe caduto(anche lui) nella retorica.


                                                                                                                                      CV






DISCORSO GIALLO (l'educazione)
Una produzione Fanny e Alexander,
in collaborazione con Solares delle Arti-Teatro delle Briciole.
Con Chiara Lagani.
Ideazione Luigi de Angelis e Chiara Lagani.
Regia di Luigi de Angelis.



Cos’ è esattamente che odiamo così tanto nella cultura televisiva? Perché ci siamo immersi se la odiamo tanto?” (David Foster Wallace). Giallo come un divieto o come un’ ammonizione. Giallo come il bollino che compare sotto i film con la dicitura “minori accompagnati da adulti”. In questo spettacolo-concerto, Chiara Lagani si pone interrogativi sulla TV pedagogica, sul cosa vuole realmente insegnare e come. La cosa certa è che siamo arrivati a una sorta di degenerazione: dal maestro Alberto Manzi che ci insegnò a leggere e scrivere a milioni di italiani arriviamo a Maria De Filippi che intervista la Montessori. Una degenerazione che ha completamente assuefatto gli adulti e che sta cercando di inglobare il mondo dei minori. La maschera della Montessori sul palco, con un filo di luce che illumina da un lato, è emblematica: l’ educazione, con la sua TV pedagogica, sta barcollando nel buio. Non ci resta che piangere, direbbero Benigni e Troisi, e invece esce fuori è una risata isterica, con un'altra maschera sul viso.



                                                                                                                                   CV




  
FEROCEMADREGUERRA (del selvaggio dolore di essere uomini)
Uno spettacolo di G.U.P. Alcaro + Francesca Bracchino + Francesca Brizzolara + Lucio Diana + Michele Di Mauro + Carlotta Viscovo


Molto bello, molto bello davvero. Un testo a quattro, sedici, venti , si perde il conto delle mani e degli autori evocati in questo monologo a più voci, in cui ogni autore - attore si inserisce e improvvisa, gioca, crea sul momento. Quando siamo entrati, erano lì ad accoglierci, chiacchieravano con tutti, gironzolavano tra i costumi di scena appesi agli inconfondibili pannelli di Lucio Diana. Erano già in scena ma non ancora, avvolti dalla meravigliosa atmosfera che si respira nella chiesa dei Battù. Una chiesetta che sa di antico eppure di nuovo con le sue pareti giallo chiaro, luminose. Uno spazio piccolo, accogliente, intimo. Ci sono tanti vestiti, tante scarpe, delle parrucche, una lavatrice, stoviglie, soldatini di plastica, una sala prove piena di cose che possono essere utilizzate, oppure no. Non si sa. E qui sta il bello: lo spettacolo è vivo, il pubblico è coinvolto perché la vita è lì, loro vivono con noi quel momento. Urlano, piangono, sussurrano ma non sanno chi di loro lo farà dopo o mentre o durante. Sarà questo teatro a salvarci? Non c’è salvezza senza bellezza: e allora sì, salviamoci. Sì, sì,sì. Ancora sì. Sì.    
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     GM

SPAM
Scritto e diretto da Rafael Spregelburd
Con Lorenzo Gleijeses

Tre tende bianche su cui vengono proiettate delle immagini, dei video, molto ben fatti, alcuni molto divertenti. Bambole di plastica inscatolate. Una storia a scatti, singhiozzi, trentuno scene. Una storia strana e ambigua. Una bella prova d’attore per Lorenzo Gleijeses che tiene il palcoscenico per due ore filate, in compagnia del musicista Alessandro Olla che lo accompagna da una regia – che sembra il tavolo di un laboratorio, e un po’ lo è – in scena, sulla sinistra. Un uomo, un professore, ha perso la memoria e faticosamente ricostruisce la mirabolante avventura che lo ha visto protagonista nell’ultimo mese. E lo fa rovistando nello spam del suo pc. Un grosso lavoro di produzione. Ma il problema è un altro : dove stiamo andando? Ad un certo punto, mi sono sentita sola. La fila in cui ero seduta s’era alzata tutta, chi prima, chi dopo, alla spicciolata. Vabbè che sul programma c’era scritto che lo spettacolo sarebbe durato un’ora e mezza. Vabbè che dopo una certa ora la metropolitana non passa più. Però, in presenza di un esodo, per tanto che possa essere maleducato o presuntuoso, il regista qualche domanda se la deve fare. Tanto più che in questo caso il regista è pure l’autore. Quando si è in coppia (spettatore e regista, in questo caso) la ragione non sta mai tutta da una parte. Di solito.

                                                                                                                                                            GM
Biografia della Peste
Maniaci d’Amore
di Francesco d'Amore e Luciana Maniaci
regia Roberto Tarasco
produzione Nidodiragno
visto martedì 11 alla Cavallerizza Reale _Festival delle Colline


Una faccenda poco chiara di sconvenienti trapassi, cavoli che vorrebbero scegliere come morire e un portale spaziotemporale dentro il frigorifero. Duecampane è un paese dove si chiacchiera e si sa tutto di tutti, la morte è considerata uno scandalo per cui si cerca di negarne la fatalità. Quando Cris rimane vittima di un incidente la madre non gli permette di lasciare questo mondo perché sarebbe “poco carino” e l’unica soluzione per salvare le apparenze è far finta di nulla, continuare a fare le cose dei vivi come se nulla fosse successo. Seguendo questa condotta tutti in paese sono effettivamente già morti a causa della peste ma per vergogna restano al loro posto oscillando tra il mondo dei vivi e l’aldilà. Viene infatti concessa loro un’ora al giorno per rivivere e poter così migliorare la propria biografia. Possibilità che quasi nessuno sfrutta.
Biografia della Peste è un alternarsi di situazioni nonsense a momenti di lucidità narrativa, passaggi dal mondo dei vivi a quello dei morti, scenette comiche e istanti di patetica tragicità. Francesco d’Amore e Luciana Maniaci riescono divertenti e spassosi, un po’ esagerati – ma perfettamente in linea con lo spirito dello spettacolo –, e forti della perfetta intesa che li lega. Di tutta questa faccenda si perde qualche pezzo, alcuni passaggi sono nebulosi, forse più marcati nelle menti degli autori che non in quello che lo spettacolo trasmette al pubblico, si deve andare a interpretazione con la possibilità di uscire dalla sala non proprio sicuri di sapere cosa si è appena visto, qualcosa frulla ancora nella testa senza trovare piena assoluzione. Ma questo punto non è necessariamente uno svantaggio.
FC



LO SPLENDORE DEI SUPPLIZI
Di e con Licia Lanera e Riccardo Spagnulo
E con Mino Decataldo;
Una produzione Fibre Parallele, Festival delle Colline Torinesi;
Presentato in collaborazione con Fondazione Live Piemonte dal Vivo.



Appena entrati in sala troviamo un boia che ci aspetta al lato del palco e, anche se sembra immobile, ci fissa. Una signora esclama: “Certo che fa un certo effetto!”. Licia Lanera e Riccardo Spagnulo (le Fibre Parallele) mettono in scena 4 supplizi  quotidiani che molte persone vivono, a volte inconsapevolmente, e de le torture fisiche e psicologiche che ne derivano. Lo spettacolo, suddiviso in 4 parti, la coppia, il giocatore, la badante e il vegano, ci fa vedere quanto questi castighi possano essere tragicomici nella loro crudeltà e sui quali bisogna riflettere. Molto spesso scendiamo a compromessi, ci adattiamo per sopravvivere (la coppia), rifiutiamo di ammettere la verità (il giocatore), oppure ci facciamo influenzare da pregiudizi, tipo gli “stracomunitari” (la badante) e ci facciamo sottomettere, mentalmente e fisicamente da chi ha idee diverse dalle nostre (il vegano). Supplizi, appunto, che forse non finiranno mai. Spettacolo ben riuscito, la coppia di attori (più il boia) riesce a catturare lo spettatore e a farlo anche ridere. La pausa è risultata adatta: spezzare a metà è servito per non dilungare troppo i tempi e il tutto è risultato meno pesante. Spettacolo coprodotto dal Festival delle Colline Torinesi e presentato in prima nazionale.

 CV

JOCURI IN CURTEA DIN SPATE
Di Edna Mazya;
Una produzione Teatrul ACT;
Presentato in collaborazione con Festivalul National de Teatru 2012 Bucarest;
Spettacolo del progetto C3+


Una violenza. La violenza carnale e anche, soprattutto psicologica, di una ragazzina di 14 anni. Certo, un tema forte, che sicuramente scuote tutti, ma è il come viene raccontato che fa la differenza. Lei seduta in mezzo la scena e loro, i giovani compagni di classe, seduti intorno. Pochissimi elementi sul palco: le sedie, uno sgabello e pochi oggetti, tra cui una padella, una palla da basket e una radio. Quello che cattura maggiormente l’ attenzione sono le parole e la bravura di questa compagnia romena. Oltre alla vicenda, viene anche raccontato il processo che ognuno di loro subisce, protagonista compresa, e c’è anche la denuncia al sistema giudiziario, allo “stupro” della Giustizia. Basta un cambio di luce  e la protagonista diventa il procuratore del caso e i violentatori si trasformano negli avvocati difensori. Una storia che suscita emozioni, nuda e cruda nella sua tragicità. Sembra quasi scontata, sappiamo già la fine, come andrà a finire, ma è il come viene narrata che fa davvero la differenza. I sottotitoli, inizialmente, creano uno strano effetto, ma sono essenziali: uno spettacolo del genere, tradotto, avrebbe perso d’ intensità. In sala erano presenti anche spettatori sordomuti, i quali hanno gradito molto . Presentato in prima nazionale, nell’ ambito di una collaborazione con il Festival National de Teatru di Bucarest.

                                                                                                                                            CV
L.I. LINGUA IMPERII 
della compagnia Anagoor 
visto giovedì 6 giugno presso Teatro Astra

Quattro schermi, dieci poltrone da cinema in legno, un tappeto grigio e a terra cinque mazzi di alloro. Nessuna quinta.
I due schermi laterali messi in alto si accendono e svelano i volti di Leutnant Voss e Hauptsturmführer Aue, ufficiali nazisti dai pensieri divergenti che fanno da guida allo spettacolo. I loro tre dialoghi sono tratti dal romanzo “Le Benevole” di Jonathan Littell.
La lingua è il tedesco. Il grande schermo centrale mostra i sottotitoli in italiano, quello più piccolo in alto traduce in inglese. Ascolti e leggi i dialoghi, non importa chi pronuncia. Le parole appartengono all'alfabeto della Lingua Imperi, la lingua povera, bruta ed ingannevole delle propagande naziste.
Questa è la spina dorsale. Poi nove attori: un coro di Erinni, performer, narratori.
Si racconta, si cantano i lamenti, si mostra con il movimento, ci si sfoga.
Parlare della caccia all'uomo significa parlare di un segmento di una più lunga storia di violenza perpetrata dai dominatori; dall'Olocausto interrotto sul Caucaso (la montagna delle lingue) a Srebrenica.
La lingua crea la razza basandosi su supposizioni. E l'elenco delle lingue è interminabile.
Lo schermo centrale dona consigli alle madri delle vittime. Mostra il volto molteplice della vittima. Scrive la lettera di I. la bambina di 12 anni che saluta il padre prima di morire.
Ci fa vedere le pecore, le bestie uccise.
Memoria non è immagazzinamento; Memoria è disorientamento, inquietaudine, incanto, vortice.
E' necessario ricordare e coinvolgere. Bisogna però superare.
AN



Torino al tramonto e mezz’ora con gli artisti
La mezz’ora prima degli spettacoli della sera, quando il sole tramonta ma il cielo è ancora chiaro e l’aria estiva rende gradevole sedere all’aperto, magari ai tavolini nel dehors della Cavallerizza Reale. Il Festival delle Colline offre al pubblico un momento rilassante e intimo per conoscere i volti e le menti che hanno dato vita agli spettacoli in cartellone e con loro approfondirne le tematiche.
Si possono ascoltare gli artisti parlare del duro lavoro che sta dietro alla creazione di una performance: il percorso, le scelte, gli obbiettivi, le difficoltà. Particolari che lo spettatore non può conoscere quando guarda uno spettacolo e lo giudica. Un’opportunità da sfruttare per fare domande e osservazioni ai diretti interessati – quando altrimenti? – per sentire le loro emozioni mentre si raccontano, scherzano, condividono pareri e dubbi, anche per avvicinare gli attori più timidi e riservati.
Non un’intervista ma una conversazione informale – come un gruppo di amici che parlano di teatro –  guidata da Laura Bevione sotto il controllo vigile di un timer da cucina a forma di limone, perché il tempo per gli attori è prezioso e non si sfora di un secondo dalla mezz’ora. Dopo, in teatro, torneremo tutti ai nostri ruoli, noi il pubblico in platea, loro attori sul palco o registi dietro le quinte.
Mezz’ora con_ Incontri con gli artisti, a cura della giornalista e critico teatrale Laura Bevione. Aperto al pubblico prima dell’inizio degli spettacoli, negli spazi dei teatri ospite del Festival o nel dehors della Cavallerizza Reale.




INVIDIATEMI COME IO HO INVIDIATO VOI
di Tindaro Granata, Proxima Res 
con: Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Emiliano Masala, Bianca Pesce, Francesca Porrini, Giuseppina Lembo, Giorgia Senesi 
visto martedì 4 al Teatro Gobetti



I mass media riescono a distorcere la verità, a presentarla semplicemente buona, semplicemente cattiva, come fanno i bambini, ma nei fatti non è mai così facile. La motivazione all’origine di uno spettacolo intorno al tema della pedofilia, per una volta, non è la denuncia. Invidiatemi come io ho invidiato voi è uno studio sui rapporti umani per comprendere come persone comuni, come noi – ecco le parole chiave –, spesso sono coinvolte in gravi fatti di cronaca che l’opinione pubblica, per rassicurarsi, giustifica con “l’attitudine alla malvagità”.
La divisione di bene e male è un’arma di difesa per non vedere, invece Tindaro Granata mette a nudo la normalità del male, l’ingenuità e la naturalezza con cui nasce, ovunque. La tematica della pedofilia è più un presupposto che non un fine, la si nomina senza mezzi termini, non si parla del perché esiste ma del perché quando arriva trova campo libero.
Angela Abbandono (Mariangela Granelli), madre della vittima, è il fulcro del dramma. Come spesso crudelmente si dice “è sempre colpa della madre”, colpa dell’invidia e dell’infelicità che l’hanno spinta, ingenuamente, a vendere la figlia all’uomo di cui è innamorata. Quell’uomo, il pedofilo (Emiliano Masala), è il “cattivo” per eccellenza, eppure il disprezzo che si nutre per lui e la pietà che si prova per la donna sono simili ai sentimenti fastidiosi che suscitano gli altri personaggi: la cognata saccente incapace di vivere all’infuori dell’affetto morboso per il fratello (Tindaro Granata) – padre della bambina, un uomo debole e stupido –, la vicina di casa che “fortunatamente” non ha mai stretto amicizia con i Poletti, eppure è sempre alla finestra a spiarli, e la nonna troppo legata a un mondo contadino a arcaico per vedere oltre il suo naso. Si sa chi condannare ma onestamente non si può assolvere nessuno. Un esito che spiazza, loro potremmo essere noi.
 FC




ECO
Installazione/performance
di Opera
regia Vincenzo Schino
performer Marta Bichisaovisto martedì 4 alla Cavallerizza Reale


Sulla volta della Camera degli Sposi il Mantegna dipinse, nel Quattrocento, il famoso oculo illusionistico da cui si affacciano puttini e misteriosi personaggi. L’installazione/performance di Vincenzo Schino richiama involontariamente l’affresco.
Un grosso bacile circolare, illuminato da un faro, poggia sul pavimento, è riempito d’acqua e sulla superficie si specchiano a turno volti di uomini e donne, hanno le stesse espressioni dei rinascimentali del Mantegna, come gli affreschi guardano verso il pubblico. Chiaramente non sono riflessi ma videoproiezioni.
Gli spettatori sono liberi di girarci attorno. Le gocce che cadono dall’alto creano una eco e la sensazione è che lo spazio si sia capovolto, i volti sul bordo del bacile si sporgono come per guardare dentro la bocca di un pozzo o qualcosa di simile, loro sono in superficie, il pubblico è sul fondo, nel bagnato, nell’oscurità e nel silenzio.
Quando le luci si spostano attirano l’attenzione degli spettatori verso uno scheletro di uomo o anfibio sospeso a mezz’aria. Sembra stia cercando di nuotare o forse è un corpo senza vita che si lascia trasportare dell’acqua.
Due installazioni separate ma che dialogano insieme. Il pubblico può muoversi liberamente, dopo un certo tempo scegliere se andarsene o restare (ovviamente il primo a lasciare il teatro è un temerario), girare intorno alle installazioni, guardare dagli spioncini la performer, nascosta dietro un muro di porte, che manovra i fili dello scheletro-marionetta, compiendo così i medesimi movimenti, come un doppio.
Eco, una performance a tutto tondo, in molti lo vedrebbero adatto a una mostra, ma la componente teatrale è evidente.
 FC




IMITATIONOF(OUR)DEATH
Drammaturgia e produzione Ricci/Forte, coproduzione Romaeuropa Festival, CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, Centrale Fies 


Avete presente quando in sogno cercate di tenere un oggetto stretto tra le mani, e quando vi svegliate vi ritrovate con un nulla di fatto? Quello che pensavate fosse reale, in realtà era effimero. Ecco, grazie a Ricci/forte abbiamo fatto un viaggio di andata e ritorno nell’ Aldilà, dove giacciono immobili i defunti. Ma i morti si risvegliano, affannosamente si destano da questo sonno profondo e sono pronti a rivelarci scomode verità e paure, le più intime e profonde ovviamente. I morti vogliono insegnare a noi vivi come vivere e poi morire, visto che “ solo l’ assenza di vita permette di esprimere la vita”. Macabro e inquietante, a volte sembra un  nonsense, eppure così sincero: ci ridesta da questa vita intorpidita, come uno schiaffo in pieno viso. I 16 attori protagonisti hanno una forza senza eguali: sia nelle parole, che nei gesti. La scenografia è funzionale e non distrae dalla performance: siamo in una zona transennata dove l’ accesso ai vivi è vietato. Anche la scelta dei brani per la colonna sonora è servita per accrescere l’ inquietudine generale.
Abbiamo varcato la soglia dell’ Inferno: siamo ancora sicuri di essere vivi?
                                                                  CV




POCO LONTANO DA QUI
Societas Raffaello Sanzio e Teatro delle Albe
visto alla Cavallerizza Reale il 1/06/2013 


Bianco. Pali e traverse sorreggono teli e fogli di carta crespa bianchi. Viene accartocciata la parete centrale su cui, penso con una spugna bagnata, poco prima, era stata segnata una finestra.
Del foglio strappato ne rimane appeso un pezzo, al centro, in alto. Un incidente?
Poi sono gettati a terra anche i teli.
“POCO LONTANO DA QUI” è lo spettacolo, scritto ed interpretato da Chiara Guidi e Ermanna Montanari, che nasce dalle lettere che la teorica del socialismo rivoluzionario Rosa Luxemburg (pseudonimo di Rozalia Lukseburg) scrisse dal carcere.
Un'ora è la sua durata, in questa niente traspare per il pubblico, tutto è evocato, nulla dichiarato.
Anche io mi sento soffocare.
Giochi di luce, nella notte dei lunghi coltelli smaterializzano i corpi delle due attrici che seppur corpi diventano ombra.
Devo affermare con sincerità che si è trattato di uno spettacolo “difficile” per me.
Mi è piaciuto ma penso di non aver compreso quello che ho appena visto.
“Questa è la mia bocca”.
AN











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