di Molière
per la regia di Marco Isidori
con Marco Isidori,Virginia Mossi, Paolo Oricco, Maria Luisa Abate, Lauretta Dal Cin, Valentina Battistone, Stefano Re, Giacomo Simoni
con le scene e i costumi di Daniela Dal Cin
I Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa si cimentano per la prima volta con Molière e portano al teatro Gobetti Il Misantropo, con Marco Isidori nei panni di Alceste. Quando i Marcido fanno la loro comparsa sul palcoscenico il pubblico è sempre molto curioso di scoprire quanto tempo impiegheranno per diventare “molesti”, le stravaganze che si inventano solitamente non deludono, e menomale, altrimenti lo spettatore starebbe troppo rilassato se avesse la sicurezza di un Molière tradizionale. Non sarebbe la maniera dei Marcido, dopotutto loro sono i primi che in scena non si mettono mai comodi, a cominciare dalla recitazione che procede a ritmi serrati, e si sa, non usano scenografie di semplice contorno.
Nel Misantropo gli attori sono prigionieri in un salotto ben poco barocco, quasi surrealista, circondato da sbarre e con la mobilia grottescamente deformata che, invece di arredare lo spazio, lo invade. C’è una voluta corrispondenza tra le cose e i personaggi, dietro ogni mobile si cela il costume, parte integrante della struttura scenografica, dentro cui (alla maniera dei Marcido) i vari attori vanno a imbracarsi. La trasformazione del cast nella nobiltà francese seicentesca è avvenuta. Il mondo di pettegolezzi, malizie, false cortesie e giochi di ruolo che Molière dipinge non potrebbe essere meglio espresso dai costumi e dalle scene di Daniela Dal Cin; via il realismo, che di spontaneo e autentico i personaggi del Misantropo hanno poco o nulla. Célimène, fra tutti, è la regina della costruzione, della maschera, della vanità; Alceste invece raggiunge il ridicolo nell’opposto, inseguendo ideali impossibili di virtù e onestà, che i Marcido sottolineano in modo netto. Alceste è l’unico a essere vestito semplice, come ai tempi nostri, senza “impalcature barocche”, quasi austero, ma ugualmente rigido e bloccato.
Tra un atto e l’altro i Marcido hanno anche inserito degli “intermezzi musicali”, tre canzonette apparentemente nonsense e un po’ snervanti, che rivelano riferimenti satirici alla contemporaneità.
FC
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