regia di Valter Malosti
dramaturg Agnese Grieco
scene Nicolas Bovey
visto domenica 2 febbraio al Teatro Carignano.dramaturg Agnese Grieco
scene Nicolas Bovey
L’essenza del famoso romanzo settecentesco di Laclos, Les liaisons dangereuses, concentrata in un’ora e poco più di spettacolo. Dialoghi serrati, solo due attori, Laura Marinoni e Valter Malosti, rispettivamente nei panni della Marquise de Merteuil e del Vicomte de Valmont, nobili licenziosi, astuti e impenitenti libertini costretti in una stanza fuori dal tempo.
A nudo paure e peccati, perversioni e rimpianti. Un personaggio si rivolge all’altro, ma è come se entrambi parlassero al proprio “Io” poiché la marchesa e il visconte, naturalmente rivali, naturalmente amanti, sono una il riflesso dell’altro. Un gioco di specchi e identità: tre finestroni rompono la monotonia della parete scenografica mostrando l’immagine speculare del palco e un faro di luce punta sull’oscura cornice, quasi fosse una luna piena.
Una sorta di confessione allo specchio in cui i due spietati carnefici si fondono con le loro ingenue vittime, Madame de Tourvel e Cécile de Volanges. Quattro voci in due attori, il maschile e il femminile si scambiano, il passaggio da un personaggio all’altro avviene in un flusso continuo di pensieri. Ma restano sempre divisi, l’uomo e la donna, divisi dal letto come simbolo dell’incontro fra i sessi ma anche dell’eterna disputa. Non si tratta del letto della lussuria, barocco e con drappeggi scarlatti, è un bianco letto di ospedale, buono per una persona singola, perché alla fine di tutto c'è la solitudine. La rappresentazione ha infatti luogo in una stanza fredda e sterile. Luci a led e sound moderni che si fondono con pezzi di classica. Non c’è nulla di vagamente sensuale, non nei gesti, meccanici e artificiali, non nelle parole - i personaggi raccontano la seduzione come di un gioco crudele, dolce-amaro. Traspare un velo di derisione e disgusto. La sessualità non sana, ma patologica, è ridotta alla sua carcassa.
A dispetto dei dialoghi spinti e dissacranti lo spettatore rimane distaccato, il contesto è estraniante, oggetti e corpi sono privati di qualsiasi forza vitale autentica, difficilmente possono risultare osceni, neppure le allusioni più esplicite. Il testo di Heiner Müller non è un viaggio dei sensi, a quello aveva pensato Laclos nel romanzo. Quartett, per la regia di Malosti, è un quadro postmoderno, mentale.
FC
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