di Letizia Russo
regia di Pietra Selva
scene e costumi Massimo Voghera, Enrica Campi
light designer Enzo Galia
arrangiamento musicale Alessandro La Barbera
video Enrico Catalano
visto giovedì 8/05/14 al Teatro Astra.
Il mito di re Gilgamesh, come tutte le storie che hanno
attraversato le ere, risveglia in ognuno l’atavico e primigenio bisogno della narrazione: "è sempre in viaggio l’uomo" – ci suggerisce questo bisogno – "e solo dopo aver accettato la
vanità dei suoi sforzi giungerà alla comprensione della vita".
Letizia Russo e Massimo Verdastro – che è anche Gilgamesh vecchio,
Utanapisti, l’uomo dalla vita eterna per “dis-grazia” divina, Hubaba guardiano della foresta dei cedri e la
prostituta sacra che inizia Enkidu al sesso – liberano dalla pietra e dalla sabbia l’antichissimo
poema sumero e lo adattano per il palcoscenico non risparmiandogli una rilettura in
chiave moderna e ironica – da comicità televisiva – poiché le grandi domande son
sempre attuali e in un certo senso ci rendono, noi tutti – uomini di quattromila
anni fa come di oggi – un branco di poveri sciocchi.
L’epicità resta e l’atmosfera ancestrale pure. La regia sceglie
di narrare il racconto in terza persona dando ai personaggi tratti spiccati ma mantenendo
in loro quel distacco tipico delle figure mitiche –viaggiano su praticabili
mobili come antiche sculture su piedistalli. Anche la scelta di neutralizzare il
più possibile lo spazio a suo modo funziona. Niente realismo, a che servirebbe?
Si tratta di epica mica di Storia. Non serve vedere le mura di Uruk, le parole raccontano,
la mente immagina, altrimenti si può restare
sospesi in un non luogo, va bene lo stesso.
Particolarmente suggestive sono la regia luci e la traccia
sonora che in coppia creano la giusta atmosfera onirica. I costumi non sono da
meno, uniscono l’arcaico e il tribale al moderno, ricordando in certe sfumature
i costumi di Danilo Donati nei film di Pasolini.
FC
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