regia di Peter Stein
visto il 22/11/13 al Teatro Carignano, Torino
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Alessandro Averone (Lenny) e Arianna Scommegna (Ruth) in primo piano |
Una notte, inaspettatamente, il figlio Ted fa ritorno nella casa paterna accompagnato dalla moglie Ruth. Da anni vivono in America, lui è docente di filosofia, hanno tre figli, una bella casa e una vita impeccabile. Allora perché tornare nello squallido sobborgo londinese in cui è nato? Per far conoscere Ruth alla famiglia.
C’è il padre Max, vedovo, capofamiglia violento e rozzo; gli altri due figli avuti da quella “puttana” di sua moglie: il sofisticato e ambiguo Lenny che contribuisce all’economia domestica con un giro di prostituzione, e lo scemo Joey, pugile senza talento; in ultimo c’è lo zio Sam, debole e succube, di professione chauffeur, insolitamente perbene. Il grezzo, il depravato, l’imbecille e il patetico, la creme de la creme del peggio maschile. Non una famiglia convenzionale. Ma i valori, reinterpretati, son “sempre gli stessi”, collaborazione, condivisione, unione.
In una casa di soli uomini spicca per contrasto l’unico personaggio femminile, Ruth. Austera e silenziosa, parrebbe una creatura sventurata caduta dai piani alti in un calderone di depravazione e testosterone, per dirlo come lo direbbe Lenny. Salvo poi scoprire che lei stessa è nata nel quartiere e quindi, si intende, le avances sessuali e le volgarità non la turbano. Alla fin fine, la più torbida risulta essere proprio lei, tanto che resterà a Londra, abbandonando il marito e i figli, per prendere il ruolo di padrona di casa, perché il branco va disciplinato.
Tutto e il contrario di tutto, Il ritorno a casa è un testo imprevedibile seppure prevedibilissimo. Fondamentalmente non capita quasi nulla, le situazioni sfiorano la noiosa routine domestica, poco cambia se farcite da discorsi senza consequenzialità, come se una tragedia, pronta a scatenarsi, stesse acquattata tra i convenevoli. I valori vengono sovvertiti, i personaggi agiscono in totale incoerenza mossi da bisogni viscerali di oscura origine. L’ironia e il cinismo arricchiscono i dialoghi di infinite sfumature.
Ciò che invece manca è nella regia di Peter Stein. Paolo Graziosi (Max) e Alessandro Averone (Lenny) sono particolarmente convincenti nei rispettivi ruoli, eppure nessuno dei personaggi risulta veramente magnetico come ci si aspetterebbe, soprattutto nel caso dell’unico personaggio femminile, e la genialità del testo un po’ne risente, tanto che qualche semi-sbadiglio a un certo punto è sfuggito.
FC
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